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La graphic art come motore di cambiamento politico
11/07/2019 La graphic art come motore di cambiamento politico

La graphic art come motore di cambiamento politico

La graphic art come motore di cambiamento politico

La mostra “Hope to Nope: graphic art and politics 2008 – 2018” esplora il ruolo centrale del graphic design nell’espressione dei movimenti politici dei nostri tempi. Ma anche nello sfidarli, modificarli, comandarli.

“Hope to nope”: tra graphic art, social e tecnologia

Il graphic design è in grado di influenzare il modo in cui pensiamo e comunichiamo? Che ruolo gioca negli eventi politici?
A queste domande vuole rispondere la mostra “Hope to nope: graphics and politics 2008 – 2018”, ospitata al Design Museum di Londra.

Lucienne Roberts, una delle curatrici di “Hope to nope”, dice: “le ideologie politiche di sempre si possono ancora riconoscere ma sono completamente cambiati il tono, il focus del dibattito, il modo di comunicare i messaggi. La tecnologia ha in un certo senso democratizzato la graphic art. I media tradizionali, usati sia dai potenti che dai gruppi marginalizzati, si integrano a meme e hashtag, rendendo la grafica fondamentale nel dare a tutti noi una voce politica”.

Non importa se declinate su cartelli, flyer o magliette: le più forti grafiche di protesta diventano memorabili perché attirano immediatamente l’attenzione. La Roberts spiega: “si tratta di una forma di stenografia visiva: le grafiche devono comunicare rapidamente, attirare l’occhio, accendere l’immaginazione. E, spesso, sono fortemente targettizzate”.

Quindi, se poster e bandiere sono ancora potenti e rilevanti, convivono con il mondo digitale in una proliferazione di messaggi visivi trasmessi istantaneamente ai nostri device, ovunque ci troviamo.

Margaret Cubbage, curatrice del Design Museum, aggiunge: “l’importanza della grafica sta nel rendere visibili le emozioni che spingono gli individui ad essere politicamente attivi. Se l’immagine è autentica e ha una connessione con il messaggio di opposizione, ha un impatto.
La grafica di protesta è reattiva e immediata, una dimostrazione di passione e impegno”.

Come internet ha cambiato il modo di fare politica

Se, un tempo, “essere politicamente impegnato” significava partecipare a cortei, raccogliere firme, tenere convegni, l’avvento di internet e dei social ha reso superfluo perfino uscire di casa.
Meme, hashtag, petizioni online, gruppi Facebook, forum e molto altro hanno rivoluzionato il modo di fare politica: non siamo più semplici osservatori, ma partecipanti attivi.
E, come Lucienne Roberts osserva, se Facebook, Instagram, Snapchat e altri social vivono nella dimensione virtuale, influenzano profondamente il mondo reale.

Obama e “Hope”: un nuovo linguaggio politico

La mostra parte dall’iconico poster della campagna presidenziale di Barak Obama del 2008.
“Hope”, creato da Shepard Fairey, ha subito catturato l’immaginazione di milioni di persone e ha inaugurato una nuova fase nel linguaggio visivo della politica.

Il poster mostra Obama di tre quarti, lo sguardo concentrato in lontananza. I colori sono molto semplici e riprendono quelli della bandiera degli Stati Uniti: blu, rosso e bianco.
Pur ispirandosi allo stile del Realismo Socialista, l’immagine rompe gli schemi nel messaggio e nel tono, perché cattura l’idealismo di Obama e la sua natura contemplativa, doti poco trasmesse nella comunicazione politica.
Secondo le parole di Fairey, infatti, la decisione di creare un ritratto del futuro presidente è nata dal fatto che “il potere e la sincerità di Obama come oratore avrebbero creato un’associazione positiva con la sua immagine”.

Il ritratto è diventato talmente iconico da essere ripreso numerose volte per i fini più disparati. Lo stesso Fairey ne ha realizzata una versione con la maschera di Guy Fawkes associata al movimento Occupy e numerose versioni sono state realizzate per contrapporre la presidenza di Obama a quella del suo successore Donald Trump.

guy fawkes e trump

Donald Trump, il “beniamino” dei political cartoonist

Rimanendo in tema di presidenti americani, dopo Obama è stato Donald Trump, sebbene per motivi molto diversi, a catturare l’immaginazione di graphic artist e vignettisti politici.
La sua fisicità così caratteristica si presta ad essere riassunta in pochi tratti: che una persona sia politicamente impegnata o meno, saprà comunque riconoscerlo dai capelli, dalla carnagione arancione e dall’atteggiamento aggressivo.

L’illustratore cubano Edel Rodriguez, ad esempio, ha creato numerose immagini del presidente americano per il Time, il New Yorker e Der Spiegel.
La loro forza è data dall’estrema sinteticità: il volto di Trump è ridotto a un ovale arancione dominato da una bocca urlante e da capelli gialli che, all’occorrenza, si trasformano in fuoco o nella coda di un meteorite incendiario.

illustrazioni su donald trump di edel rodriguez

Anche la frase di Trump “grab ‘em by the pussy” è stata commentata da numerose vignette di protesta.
In molte di esse il genere femminile è impersonato dalla Statua della Libertà, una scelta che unisce il tema della violenza sulle donne alla violenza perpetrata da Trump sui valori americani di libertà e uguaglianza.

Tra le più famose, quella di Joshua Woodrow, che esprime la forza della sua condanna in colori squillanti e in pochi tratti grafici di forte impatto visivo e morale.
Victor Juhasz, invece, condensa in tratti vorticosi tutto l’orrore di Lady Liberty nel vedersi svilita e ridotta a oggetto.

Joshua Woodrow e Victor Juhasz su Trump

In occasione dei moti di Charlottesville, quando Trump non condannò esplicitamente i suprematisti bianchi, la designer Robin Landa chiamò a raccolta i colleghi su Facebook scrivendo: “dobbiamo inondare i social media con immagini di protesta”.
Poche parole che riassumono il potente connubio tra internet e graphic design: il primo ha la capacità di raccogliere numeri in grado di fare pressione sul politico di turno; il secondo ha la capacità di esprimere il malcontento in modo universale.

“Je suis Charlie”: ne ferisce più la penna…

Un altro esempio del potere devastante dell’illustrazione, del graphic design e della graphic art è l’attacco del 2015 al giornale satirico francese Charlie Hebdo, che vide la morte di 12 persone.
In seguito all’attentato furono numerosi i vignettisti che commentarono l’insensatezza dell’attacco e resero omaggio alle vittime.

In particolare, alcune illustrazioni riassumono perfettamente la minaccia percepita dagli attentatori nel commento politico espresso dalle vignette di Charlie Hebdo.
Satish Acharya, ad esempio, mostra i terroristi che, con in mano un pennello, si chiedono “cos’è questa piccola arma che ci fa così male?”.

satish acharya e charliehebdo

Francisco Javier Olea, invece, compone un’arma usando gli strumenti del disegnatore, accompagnata dalla frase “alle armi, compagni!”.

francisco javier olea e charlie hebdo

David Pope, nel suo “He drew first”, gioca sul doppio significato del verbo “drew”, così che la vignetta si può leggere come “ha estratto l’arma per primo” o “ha disegnato per primo”. Una perfetta sintesi sul potere politico dell’arte.

david pope e charlie hebdo

Queste vignette di cordoglio e protesta, condivise sui social, sono state accompagnate dall’hashtag #jesuischarlie: una frase potente e inarrestabile che condensa lo sdegno di milioni di persone.
Anche in questo caso, immagini nate sulla carta hanno trovato la massima diffusione grazie a internet e ai social media.

Storie di protesta: il Center for the Study of Political Graphics (CSPG)

Il connubio tra grafica e politica non è un’invenzione recente: le proteste delle suffragette, la rivoluzione russa, la seconda guerra mondiale, la guerra del Vietnam, gli esperimenti nucleari sono sempre stati accompagnati e commentati da grafiche iconiche.

Il Center for the Study of Political Graphics (CSPG) da quasi trent’anni ospita una collezione di oltre 90.000 grafiche di protesta, dal XIX secolo al presente.
Ineguaglianza, ingiustizie sociali, discriminazione, guerre, violenza sono indagate attraverso grafiche e slogan di immediata potenza.

Tra questi un simbolo delle lotte femministe è “Your body is a battleground”, dell’artista Barbara Kruger.
Creata nel 1989 in occasione della Women’s March su Washington in difesa del diritto all’aborto, l’immagine mostra la donna letteralmente divisa tra la libertà di scelta e le pretese di decidere al suo posto.

Un’altra immagine iconica è “El pueblo unido jamas sera vencido”, realizzata nel 1974.
La frase, tratta da una canzone diventata l’inno del governo di Unità Popolare, diventò dopo il colpo di stato del settembre 1973 il simbolo della resistenza contro il regime di Pinochet.
Una protesta condensata, a livello grafico, nel simbolo universale del pugno alzato, dipinto con i colori della bandiera cilena.

barbara kruger e pueblo unido jamas sera vencido

Approfondimenti

Grafica e politica in mostra al Design Museum di Londra

The powerful political graphics sparking change

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